Editoriale

Look e studi della Bellanova, le critiche di chi vestiti ne ha portati tanti senza trovare mai quello giusto

Provocano tanta tristezza le parole contro il nuovo ministro, come se venire dal mondo del lavoro operaio fosse un demerito e non un valore. Le difesa più bella nelle parole di Di Vittorio: “Credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari alle quali le strutture sociali ingiuste ed inumane negano ogni possibilità”

Il ministro Teresa Bellanova

Provoca davvero tanta tristezza leggere sui social le grevi affermazioni sulla nuova ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, a causa del suo passato di bracciante agricola, di sindacalista, della sua licenza di scuola media inferiore, e financo del suo look in occasione del giuramento al Quirinale.

Il Belpaese, terra di tolleranza, dialogo e ospitalità, che fece scrivere a Cesare Pavese “Questo paese, dove sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto”,  è diventato un ring in cui si seminano odio, invidia sociale e insulti.

A tutti i propagatori di insulti gratuiti si deve ricordare che uno dei più grandi leaders sindacali, Giuseppe Di Vittorio segretario della Cgil negli anni della ricostruzione democratica del nostro Paese, nato e cresciuto in Puglia, a Cerignola, fu bracciante. Un’esperienza di bracciante-bambino quale scuola di vita che formò la sua cultura del lavoro, gli fece conoscere il senso profondo delle differenze e gerarchie sociali di un mondo senza regole e tutele. Da adolescente Di Vittorio capì che per far valere le sue rivendicazioni, doveva superare la condizione di semianalfabeta. Si impegnò così, nell’istruzione, si procurò un vocabolario e cominciò a costruirsi, da autodidatta, la propria cultura e la propria consapevolezza politica. E Di Vittorio fu non soltanto uno straordinario dirigente sindacale ma anche un autorevole commentatore sulle pagine de “L’Unità”.

E Bruno Buozzi, segretario socialista riformista della Confederazione generale del lavoro in esilio durante il fascismo e protagonista del Patto di Roma del 1944 per la rinascita del sindacalismo democratico e unitario (che non poté firmare perché trucidato dai nazisti in fuga), operaio di fabbrica e autodidatta in gioventù, come Giulio Pastore, fondatore e leader della Cisl e poi ministro delle Partecipazioni statali.

Insomma, venire dal mondo del lavoro operaio è un valore e non un demerito e le competenze si possono acquisire anche sul campo e con studi da autodidatta. La migliore risposta all’odio sociale sono le parole pronunziate proprio da Di Vittorio al congresso nazionale del gennaio 1953 della cultura popolare, con relatori quali Norberto Bobbio, Tommaso Fiore, Giulio Trevisani, “Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere del nostro paese… quelle masse cioè alle quali le strutture sociali ingiuste ed inumane della nostra società negano la possibilità non solo della cultura, ma anche dell’istruzione elementare, e che ciò malgrado, però, vogliono, si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado che le loro capacità, le loro possibilità permettono di raggiungere, grado modesto ma che apre però la strada a nuovi e travolgenti progressi”. 

* professore di diritto del lavor Unime


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