Riguardare con cura

Gioele e Viviana, una tragedia che chiede vera competenza e rispetto

Se c’è una lezione che questa tragedia ci consegna, è la necessità di ripensare i servizi psichiatrici dell’intero Paese, cominciando a intervenire su quelle aree geografiche dove la situazione organizzativa è peggiore e mettendo a tema la questione dell’affiancamento alle famiglie

Edgar Allan Poe in una novella dal titolo “la lettera rubata” dice qualcosa che potremmo sottoscrivere, pensando a ciò che è accaduto durante le laboriose ricerche di Gioele Mondello. “Quanto è nascosto può essere trovato, a patto che lo si cerchi con sufficiente attenzione e diligenza, mentre ci vuole un intelletto superiore per trovare quanto si ha sotto gli occhi”. Non credo lo dicesse per ridere, è esperienza comune cercare la scatola col formaggio nel frigo, averla proprio all’altezza del naso ma non vederla. Succede, certo non è la stessa cosa quando cerchi il formaggio e quando stai facendo di tutto per ritrovare il corpo di un bambino. Il corpo di Yara Gambirasio fu trovato 3 mesi dopo la scomparsa, per una sinistra casualità, a soli 300 metri dal centro che coordinava le sue ricerche, installato a 10 chilometri dall’abitazione della povera tredicenne. Può darsi che a Bergamo come a Caronia si potesse fare di meglio, anche utilizzando tecnologie più sofisticate, ma non è facile e talvolta bisogna essere anche fortunati, non ritengo però il tempo un fattore determinante in queste ricerche. Credo non sarebbe cambiato l’esito finale se avessero trovato le spoglie di Gioele 5 giorni prima. Sarebbero cambiate semmai le condizioni emotive dei suoi cari, sottoposti a lungo ad un’angosciosa tortura esistenziale e ad una esposizione mediatica esasperata, talvolta morbosa. Negli stessi giorni è morto, per mano di conviventi, un bambino di Rosolini, di appena 21 mesi, ma nel caso specifico mancavano i contorni del “giallo”, o se esistevano sono stati archiviati subito, così il piccolo se n’è andato quasi in silenzio.  Agenda strana, la nostra.

Probabilmente, per Viviana e Gioele, tutto si è consumato nell’immediatezza della scomparsa. Neppure mi sentirei di aprire un dibattito su ciò che potevano fare o non fare i congiunti, tuttavia, proprio collegato a quest’ultimo aspetto, c’è la vera questione sul tappeto, la solitudine e la disperazione di quelle famiglie che sono chiamate a misurarsi quotidianamente con il disturbo mentale, che non è una colpa, solo uno sconsiderato può immaginarlo tale. Ritengo necessario affermarlo, perché Viviana Parisi non può essere ricordata come un’aliena, ma come un essere umano che si è imbattuto in un nemico potente al quale era difficile resistere.

Il fatto che queste affezioni non si vedano con gli occhi, non significa che siano un capriccio della persona colpita, che spesso subisce la beffa di non essere colta nel suo bisogno di soccorso.   

Nelle stanze interiori di questa moglie e madre, si è installato un ospite, tremendo e indesiderato, arrivato a tradimento, col cielo sereno, mettendo a durissima prova l’intero sistema, fino a portarlo vicino al punto di collasso e imponendogli un prezzo inaudito. Poteva accadere a ciascuno di noi, non dimentichiamolo mai.

Tutti coloro che ora sentono il bisogno di cimentarsi nel tiro alla famiglia di Venetico, dovrebbero provare, anche solo per una settimana, ciò che possono avere sperimentato i suoi membri negli ultimi cinque mesi, qualcosa che forse covava da prima, strisciante e subdolo, capace di proliferare, per afferrare infine la preda nella maniera più orrenda, portandosi via persino chi è rimasto.  

Molti, in questi giorni si sorprendono, si dichiarano sicuri che Viviana non avrebbe mai potuto fare male e Gioele, “lo amava troppo”, ma, stante ancora le nebbie che gravano sulla verità, queste persone, di sicuro in buona fede, parlano della Viviana di prima, quando non era stata ancora ghermita dal disturbo, che non tutti potevano vedere perché esso non si mostra. Eppure c’è, acquattato, faticoso da accettare e da amministrare, sia per il portatore che per i suoi cari, i quali ne avvertono le turbolenze ma non sempre riescono a capire cosa fare, perché è tremendamente complesso rapportarvisi. Si vive sperando in tempi migliori, e quando si nota anche un piccolo segnale di normalità, il cuore si allarga, ma purtroppo è proprio in quei momenti che qualcosa può sfuggire, perché si è troppo stanchi e si desidera una tregua con tutte le proprie forze. In quei frangenti, quelli in cui la speranza sembra crescere, si abbassa la guardia. Niente di più umano.

La paranoia, se di quella parliamo, è perfida, perché sostenuta da ragionamenti logici, una persona che produce deliri persecutori sistematizzati, può apparire persino più convincente di tutti gli individui che la circondano, eppure siamo di fronte alla malattia mentale più grave in assoluto, persino più della temutissima schizofrenia. Se l’ossessione è la malattia del dubbio, la paranoia lo è della logica, sempre stringente, la falla, non sempre visibile, è nei suoi presupposti, sbagliati senza appello.     

Non sarebbe stato facile per nessuno discernere, ma se c’è una lezione che il sacrificio di Gioele e Viviana ci consegna, è proprio nella necessità di ripensare i servizi psichiatrici dell’intero Paese, cominciando a intervenire su quelle aree geografiche dove la situazione organizzativa è peggiore, mettendo a tema la questione dell’affiancamento alle famiglie, che spesso a mani nude devono affrontare drammi soffocanti e continuativi, capaci di svuotare tutti i serbatoi di energia disponibili, costringendole a vivere nell’angoscia e nella vigilanza, senza potersi concedere un attimo di distrazione.

In questi giorni a babbo morto, sono arrivati, era prevedibile, i fenomeni da baraccone, inventati di sana pianta dalla televisione, anche di Stato purtroppo, ripetono quello che abbiamo visto tutti e prendono di mira Daniele, che secondo loro non avrebbe mai dovuto lasciare da sola Viviana.

Non ci piace giocare con la vita delle persone, il cui valore è assai più grande di quello che può avere una notizia, proprio per questo ci paiono fuori luogo i forum a base di scienza-gossip e la caccia ai superstiti di questa tragedia, vittime anch’essi, sommersi da un dolore sovrumano,  a cominciare dal padre di Gioele e marito di Viviana, un uomo a cui è dovuto il rispetto di tutti, essendogli toccato in sorte il nemico peggiore, la malattia mentale della donna con cui aveva costruito il diritto di sognare. Non cadiamo nell’assurdo dibattito se gli ebrei con il loro atteggiamento passivo abbiano favorito l’olocausto. In questa storia ci sono solo vittime.

Il convitato di pietra, lo ripeto, ora che non possiamo più salvare madre e figlio, rimane l’approccio delle istituzioni e della società al disturbo mentale, in Italia da ripensare radicalmente, articolando un programma epocale, fondato su progetti, competenze e, non ultimo, compassione. Oggi ammalarsi di cancro nel nostro paese è meglio che incappare in un disturbo mentale, molto meglio. In alcune regioni ancora di più.

Ricordiamo che quando il disturbo mentale colpisce anche una sola persona in un gruppo familiare, tutto l’insieme viene minato e diventa vittima, per questo una sola parola contro Daniele o uno dei familiari della coppia sarebbe inopportuna ma anche la prova che l’ignoranza può fare più vittime della malattia stessa.

Sento, concludendo, di volere ringraziare tutti coloro che si sono spesi nella ricerca di Gioele, molte persone per bene si sono guadagnate il loro tozzo di pane con onestà e mettendoci la parte migliore di sé, il loro cuore, se qualcuno può avere preso sottogamba l’impegno ne risponderà alla propria coscienza.

* psicoterapeuta e analista adleriano


Si parla di